Aggiornamento del 06.07.2022

È il 16 giugno quando ci arrivano questi sorrisi: Mirko insieme ai volontari di No Name Kitchen dalla sede di Velika Kladuša, Bosnia. A segnalarci ancora una volta che… sì, si può fare, missione compiuta, carico estivo consegnato!

E una volta di più sentiamo l’emozione di sorridere insieme, di fare insieme, pur distanti chilometri: l’azione in Italia diventa azione in Bosnia, il sorriso in Bosnia diventa sorriso in Italia.

Lo condividiamo volentieri, ci concediamo tutta la bellezza di questo istante.

Non è distrazione, è ulteriore spunto a proseguire.

Non ci distoglie dalla consapevolezza che è l’istante gioioso di un viaggio duro più del solito: quattordici ore di viaggio teso da Gorizia – condivide Mirko a caldo – appena arrivato in Bosnia a tarda sera il 14 giugno; cinque ore di guida oltre il normale, aggiunte alle altrettante o più in attesa alle dogane. Vacilla la pazienza, ci si chiede se lo sforzo valga la pena per un carico di soli dieci metri cubi, ben inferiore rispetto a quello autunnale.

Ci sarà tempo per riflettere su come organizzarci meglio; intanto tutti gli scatoloni trovano spazio nel magazzino NNK di Bihać. Le mani che se li passano sono l’immagine più concreta delle energie messe in rete sin dall’inizio di aprile per comunicare, raccogliere, smistare, inscatolare, caricare e farli arrivare a destinazione.

La vedono di persona, questa immagine, Sergio e Marialisa di Arci Scuotivento Monza – Un Ponte Per https://bit.ly/3nwYgzp , che hanno accompagnato Mirko nel viaggio, nuovi testimoni di quel movimento che dal 2018 ci fa gridare… OpetBosna! Li ringraziamo di cuore e insieme a loro, grazie ancora, a tutte le associazioni e le persone che hanno aiutato.

Dalle mani posate sulle scatole, torniamo agli occhi, per uno sguardo più ampio, sulle persone in fuga, ormai 100 milioni nel mondo, bloccate, respinte, uccise, spinte da guerre, ingiustizie, carestie verso la doppia assenza di una terra d’origine che li spinge alla fuga, e di una terra di destinazione o transito che, nel migliore dei casi, – come per le famiglie ucraine – li accoglie come parte di un’emergenza inevitabile, e li manterrà “stranieri”, li rubricherà come “problema”. Ma nel peggiore legalizza il loro massacro, come a Melilla https://www.meltingpot.org/

E si ostina a non strutturare un sistema coerente di accoglienza e rispetto dei diritti di TUTTE le persone richiedenti asilo, mantenendo gravi discriminazioni, contraddizioni e inadempienze, come spiega bene Cristina Molfetta, amica di OpetBosna! e esperta curatrice del rapporto annuale Diritto d’Asilo della Fondazione Migrantes, in questa intervista con il Naga di Milano:

Allora quelle scatole, quelle mani, quei chilometri un senso ce l’hanno perché tutto questo non si può accettare. Non ci vedrà complici con l’indifferenza. Ci chiama alla sfida di proseguire – nonostante siamo pochi, nonostante ritagliamo affannosamente il tempo necessario – fare rete, organizzare i viaggi e le raccolte, sensibilizzare nelle scuole e nei canali di comunicazione. Continueremo a volerlo fare.

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OpetBosna!